Tragedia greca della vendetta, L‘Orestea arriva da lontano, è un racconto che supera le barriere del tempo e parla di uomini sottomessi agli dei e a quel destino beffardo che ha portato i protagonisti a una serie sterminata di uccisioni. Il tempo passa e nella Storia dell’uomo avviene lo strappo nel cielo di carta di cui parlava Pirandello ne Il fu Mattia Pascal: la figura di Oreste, il matricida vendicatore del padre Agamennone, si trasforma in un moderno Amleto, un uomo responsabile delle proprie azioni e non più guidato dal fato. Ci si chiede che cosa rimanga oggi della casa degli Atridi, della sete di potere causa di una distruzione in cui il corpo, schiacciato dal peso della colpa, non riesce a reggersi in piedi.
Potrebbe essere un radiodramma Radio Argo – spettacolo prodotto dal Teatro Rossosimona – riscrittura densa, personalissima e di acuta intelligenza del poeta napoletano Igor Esposito. L’intera tragedia passa qui attraverso i pensieri dei singoli personaggi: è la soggettività di ognuno a mandare avanti l’intricata tela del destino. Uno strepitoso Peppino Mazzotta, l’attore calabrese volto noto della televisione italiana, interpreta i vari protagonisti della trilogia greca: è la voce alla radio che accompagna gli ascoltatori nelle loro notti insonni; ma è anche la rievocazione profonda di chi ora da fantasma rivive le vicende di una storia macchiata di crimini passati, dentro cui è possibile trovare tracce del potere insignificante e amorale di oggi.
Nella scena di Angelo Gallo, costituita da piccole “stazioni foniche” e allo stesso tempo funebri (allestite con fiori, candele e microfoni), il regista-attore Mazzotta si sposta a fatica, con una sedia a rotelle, creando un’atmosfera straniante, dove l’amplificazione vocale segue una spazializzazione precisa, inquietante e poco rassicurante. In questa tragedia non si cammina con le proprie gambe: ecco che la mano del destino muove tutti i personaggi, bloccati su delle carrozzine o costretti a sostenersi con le stampelle. È un fantasma la prima vittima, un’Ifigenia vestita con impermeabile rosso e tacchi alti, che si regge in piedi in modo difficoltoso: il suo sacrificio dà il via all’onda distruttrice del Cielo e alla concatenazione di vendette. E così Mazzotta presta la voce a un apatico Egisto e una spaventata Clitemnestra: l’amante della regina è l’unico a parlare in dialetto; è infatti anche l’unico a giustificare una donna a cui è stata ammazzata la figlia e che ha in fondo il diritto di vendicarsi sul marito, un Agamennone mandante del sacrificio. Se Clitemnestra è stata sempre vista con gli occhi di Oreste, come colei che ha ucciso il padre, il re, qui la drammaturgia di Esposito la rende per un tratto più umana nei versi pronunciati da Egisto: «Tu Agamennone lo devi scannare perché non ti ha fatto sapere come sarebbe stato». Non ha visto crescere la sua bella figlia e il re, una sorta di dittatore che sputa a una platea di uditori delle sentenze spietate, si giustifica a suo modo dicendo che «la ricchezza si paga con l’innocenza». Solo Oreste, in battuta finale, rifiuta quel potere: diventa uomo responsabile, si libera dal dominio degli dei e in piedi, rimasto solo con i suoi fantasmi, esprime il suo disperato canto, contro una verità che ha cercato senza trovare, contro una cultura svuotata di significato. Ecco che l’attualità politica irrompe nel bellissimo testo di Esposito: ci si chiede se si è disposti a sacrificare l’innocenza o la stessa vita per avere ricchezza e supremazia. Oreste si libera del potere del fato; decide di andarsene e di ribellarsi lasciando il dominio che gli spetterebbe poiché in fondo «a governare preferisce il rumore del mare».
Visto a Primavera dei Teatri, Castrovillari
Carlotta Tringali