Recensione a Cirk − Compagnia Pantakin
È un universo in miniatura fatto di piccole sorprese e meraviglie in vitreo quello ricreato dalla Compagnia Pantakin sul palcoscenico del Teatro delle Maddalene, in occasione della rappresentazione di Cirk. Il “magnifico quotidiano” viene qui celebrato attraverso una serie di tableaux molto vivants che fanno riemergere la piccola routine ordinaria − che tante volte angoscia e stressa − in un gioco di allontanamento che incuriosisce e stimola la fantasia: al pari dell’esotico, del lontano e sconosciuto, le azioni degli atleti, ginnasti, giocolieri e clown presenti sulla scena aprono una finestra su un mondo parallelo al nostro, costruito su ritmi e necessità ordinarie identiche a quelle degli spettatori. Ma in un circo.
La storia si presta moltissimo a sottolineare come in ogni gesto banale si possa nascondere un lato comico o, semplicemente, stupefacente. In città è arrivato il circo, e con lui, i suoi artisti. Alle prese con i preparativi dello spettacolo, la “tranquilla” quotidianità è sconvolta da due eventi: da una parte, la scomparsa dell’attrazione principale, ovvero l’elefante Bombo; dall’altra l’arrivo di un nuovo compagno di viaggio, accolto con gioia in seguito al susseguirsi di prove di abilità e dimostrazioni ginniche stupefacenti. Punto di partenza è quindi la preoccupazione per l’amico scomparso, che tende un velo di tristezza misto a preoccupazione sul gruppo di circensi, che, ahimè, era già pronto ad andare in scena. Un pretesto per svelare la magia che si cela dietro ad ogni piccola azione, che cade nella banalità solo per pigrizia di chi ogni giorno si trova a ripeterla meccanicamente. È infatti osservando la magia di oggetti che scompaiono e che si animano, di corpi che si dimezzano e che si librano su funi, corde e pali, che piano piano anche gli spettatori − e non solo i più piccini − entrano in un mondo fatto di vecchie poltrone e abiti polverosi che rimandano ad un passato affascinante e a forme di intrattenimento per cui si è persa qualsiasi capacità di meravigliarsi.
Eppure Cirk non mette solo in scena una «tragedia comica sull’arte di sopravvivere con tre palline, una corda, una pertica e una energia coinvolgente» come scrive lo stesso regista Ted Keijser: Emmanuelle Annoni, Giovanna Bolzan, Emanuele Pasqualini, Benoit Roland e Beppe “Sipy” Tenenti sfruttano la loro abilità nelle diverse arti circensi − muovendosi tra danza, acrobatica, giocoleria e clownerie − per creare un mondo stratificato, un labirinto di specchi che distorcono la realtà, senza mai perdere attinenza con l’immagine originale. Grazie a questo meccanismo di riconoscimenti reciproci tra palco e platea, si viene a creare un punto di vista nuovo per gli spettatori e che fa osservare le meraviglie delle azioni e dei trucchi scenici con sempre maggiore familiarità, frutto anche di una metateatralità che a volte pervade la rappresentazione, senza mai risultare forzata o artificiosa. Sulla scena si alternano così personaggi che osservano il costruirsi dell’azione, sketch corali e corpi che si dimezzano e si sdoppiano, in un simpatico gioco di assemblaggio di nuove figure che generano a loro volta nuovi piani e sovracostruzioni di un mondo già dichiaratamente illusorio. Un’illusione che mai infastidisce e che sempre porta a rileggere il proprio modo di approcciarsi alla quotidianità.
Torna alla mente Mirrormask − libro con illustrazioni di Dave McKean e testo di Neil Gaiman ispirato all’omonimo film − la cui protagonista Helena vorrebbe scappare dal circo dei genitori per unirsi «alla Vita Vera», mentre la madre le risponde che non saprebbe cavarsela. Una distinzione totalmente assente in Cirk, che anzi, grazie alla sua magica leggerezza porta in primo piano un bisogno di compenetrazione reciproca, suggerendo agli spettatori di approcciarsi alla “Vita Vera” con la magia del circo e, in generale, del teatro.
Visto al Teatro delle Maddalene, Padova
Giulia Tirelli