Recensione a Lucky star – di Alessandro Sciarroni
Nascono abbracciati, intrecciati, dentro un cubo. Un groviglio di due corpi da cui lentamente spunta una mano, poi una gamba. L’operazione è duplice e si ripete: fuori un’altra mano e un’altra gamba ancora. Il grembo geometrico e freddo che li ospita si spacca: due busti si staccano, quasi sdoppiandosi, come in una riproduzione cellulare. È una separazione parziale, da cui una figura deforme prende vita: un’unica massa corporea dotata di quattro gambe rapisce la percezione visiva a tal punto che l’occhio può godersi incondizionatamente, senza che la mente interferisca per farsi delle domande, la bellezza di quell’immagine.
Lucky star, performance ideata dal marchigiano Alessandro Sciarroni, porta lo spettatore ad abbandonare la propria razionalità creando dei momenti di raggelata deformità e complessità, in una estetica semplice ma che coinvolge un perenne e misterioso fascino della natura umana dato da due gemelli omozigoti. In scena Marco e Roberto Tarquini sono identici nella loro cecità datagli da del nastro adesivo posto sugli occhi o da una mascherina in volto, tanto che i movimenti sono gli stessi, un dondolamento che li lascia cullare nel loro riflesso; ma che viene percepito come un ostacolo e dà vita a incomprensioni nel momento in cui degli occhiali mostrano, come fossero delle lenti di ingrandimento, una somiglianza-uguaglianza insopportabile. Una diversità che si ricerca nei tatuaggi di uno dei due corpi rispetto alla pelle immacolata dell’altro, ma che non è sufficiente.
La drammaturgia di Alessandra Morelli e Alessandro Sciarroni parla di una digressione che prende le mosse da Romeo and Juliet di Shakespeare, amanti definiti dallo stesso autore inglese «star crossed lovers», stelle che vivono non della propria luce, ma una del riflesso dell’altra. E proprio come due corpi celesti, i due gemelli emanano apici di bellezza quando sono intrecciati, sembrando un unico corpo, o quando con delle semplici buste riescono a creare una simmetria che si rende necessaria. Sembrano restituire dei veri e propri fermo immagine, in un’atmosfera sospesa e fuori dal tempo anche grazie alla musica di Paolo Persia: in questi momenti la performance Lucky star sembra quasi una installazione visiva. Ma lucentezza e magia si perdono quando i performer ricercano una diversità, impossibile da raggiungere anche con l’omicidio dell’altro da sé. Una diversità che li contrappone al pubblico, su cui si accendono per un istante le luci, ma non da loro stessi. E dopo una separazione dolorosa e impossibile i due gemelli si riuniscono, ma forzatamente, grazie a Sciarroni, l’ideatore stesso, che, come fosse un Deus ex machina, interviene sui loro vestiti, unendo cappucci e maniche delle felpe, restituendo al pubblico l’immagine di un corpo che sembra trovare il suo doppio appoggiato a uno specchio.
Visto al Teatro Studio, Ancona
Carlotta Tringali