Recensione a Toni Servillo legge Napoli – di e con Toni Servillo
Si dice che il potere primario della narrazione sia quello di creare immagini dal nulla: un teatro che affonda le sue antichissime radici nella storia dell’uomo, nella sua necessità di incontro, di comunicazione, di storia; un teatro scarno e con pochi orpelli scenici, quasi nessuna immagine concreta ma tanto, tantissimo spazio all’immaginazione.
È questo forse uno degli elementi che ha consentito alla narrazione di attraversare secoli di storia: la capacità di provocare l’immaginazione del suo spettatore, di invitarlo ad attivarsi, a partecipare, a costruire la storia insieme a chi la racconta.
Questo è quello che succede in Toni Servillo legge Napoli, lettura scenica performata dall’attore campano al Teatro Vittorio Emanuele di Messina, in occasione dell’inaugurazione della nuova stagione.
Servillo propone al proprio pubblico un viaggio nella città partenopea, che si snoda attraverso le parole liriche e poetiche dei suoi artisti. Ma si tratta di artisti particolari: le voci differenti e specifiche selezionate per la lettura, condividono almeno un elemento comune, quello di appartenere tutte ad attori, a uomini del teatro napoletano. Così, il viaggio si sviluppa fra i nomi più celebri della tradizione (Totò e De Filippo) e altri meno conosciuti, fino ad arrivare agli artisti dei nostri giorni, come Enzo Moscato e Mimmo Borrelli; e diventa (anche) un viaggio nel teatro napoletano, nelle lingue che ha plasmato e nelle parole che ha scelto.
L’itinerario prende in concreto la forma di un percorso rovesciato: “dal Paradiso all’Inferno”, dichiara Servillo all’inizio della lettura. Ci sono paesaggi che si concretizzano nella parola, personaggi di forte umanità, storie e vicende tragiche e comiche; lingue quotidiane, segnate dal vento, dalla strada, dalla vita, e altre poetiche, magmatiche, liriche, parole bagnate nella zona flegrea e altre ancora asprissime, feroci nel senso e nel ritmo.
È un racconto di viaggio che diventa quasi canto, nella voce e nella presenza di Toni Servillo. Forse è per la mia povera conoscenza della lingua, che in certi passaggi dischiude la propria poesia e in altri la comprensione è più difficile, per cui si esprime soprattutto sul piano sonoro e vocale. Ma la musicalità della lingua poetica napoletana – che come ricorda giustamente l’attore, in scena, si fa immediatamente lingua teatrale – domina tutta l’ora e mezza di performance, anche al di là dei significati espressi dalle parole o quantomeno arricchendone la sostanza con forza; e quello che emerge, nel complesso, è il talento disarmante di un attore, la sua performatività inesausta nell’entrare e uscire dalle voci che interpreta, la fisicità fortemente espressiva ma precisa e puntuale, le qualità diverse della presenza scenica, che vengono calibrate e modulate davanti al pubblico. Infine, si mostra l’amore – credo sia questa l’unica parola adatta – di un uomo per la sua città, la sua lingua, la sua poesia; e, altrettanto in profondità, di un uomo di teatro per il teatro.
Visto al Teatro Vittorio Emanuele, Messina
Roberta Ferraresi