San Nicolò e San Gregorio. San Simone, San Salvatore e la Chiesa dei SS. Domenico e Francesco. Atipici palcoscenici, spazi religiosi o sconsacrati che ospitano, tra le crepe del tempo e la polvere del passato, tra antiche assi e umide pareti, artisti francesi e attori italiani, favole di ieri e storie di oggi. Da una parte le mura della città alta e dall’altra la Rocca Albornoziana: l’ex Chiesa di San Simone si trova lì, in piazza Campello, nel punto di raccordo tra il paese e il Colle Sant’Elia. Una sacralità ferita, perché l’edificio religioso è stato trasformato in caserma nel 1800, una bellezza nascosta, perché il ciclo di affreschi con Storie di Sant’Antonio da Padova è stato coperto d’intonaco. Massicce volte, e una Madonna con bambino, unica superstite, vegliano oggi su una struttura antica, che si fa teatro, palco, isola.
Cosparsa di sabbia fino all’abside, San Simone ha accolto il 29 e il 30 giugno (e accoglierà ancora il 7, il 12 e il 14 luglio) L’Ile des Esclaves di Pierre Marivaux, una nuova produzione di CRT Artificio Milano, in coproduzione con Irina’s DreamTheatre Parigi e in collaborazione con Spoleto56 Festival dei 2Mondi. Fa parte, lo spettacolo, de La trilogie des Iles, progetto ideato, adattato e diretto da Irina Brook, “viaggio iniziatico di isola in isola, avventura piena d’azione alla ricerca di se stessi”. Si entra nello spazio scenico attraversando una ‘passerella musicale’, s’incontra uno steward, si prende idealmente posto su un aereo della Utopiairlines insieme a Iphicrate e Euphrosine, spocchiosi borghesi impellicciati e improfumati, che volano, e precipitano, insieme ai loro sottoposti, Arlequin e Cléantis. Portato in scena per la prima volta a Parigi nel 1725, reso celebre in Italia da Giorgio Strehler, che nel 1994 ne ha firmato una versione per il Piccolo, l’atto unico del drammaturgo francese porta con sé un messaggio di tolleranza, e una ricerca di umanità. Oscilla tra la fedeltà al testo settecentesco e alcuni tentativi di attualizzazione l’adattamento di Irina Brook, presentato in lingua originale con sottotitoli italiani, proiettati in grandi lettere sullo sfondo, mentre piccoli schermi televisivi mandano immagini di ingrigite e lente onde marine. Assistiamo all’atterraggio di fortuna, allo scambio di potere tra padroni e schiavi, alla compassione, e infine al perdono e al ripristino dei ruoli. Pièce che mantiene una costante carica ironica, una modalità giocosa e caratteristiche di fiaba. Spettacolo che si chiude con un tenero e pacificatore ‘embrassons nous’.
Di origine funeraria, con tre navate, rinnovata dai Longobardi nel VII secolo, San Salvatore, patrimonio dell’Unesco dal 2011, dorme accanto al cimitero spoletino. Vive di influssi orientali e forme classiche, il suggestivo edificio, danneggiato da incendi e terremoti. Alte colonne doriche e corinzie, e le tracce, sfocate, di una Madonna col Bambino e un santo, accolgono una scena di plexiglas, che fa da cornice al primo episodio del Decalogo, progetto ideato da Stefano Alleva, che firma la drammaturgia insieme a Mara Perbellini e Andrea Valagussa. Cinque gli spettacoli che si succedono, con due repliche ognuno, fino al 13 luglio, e che portano i titoli dei comandamenti, dal primo al quinto, cui s’ispirano.
Un’operazione spettacolare che guarda al cinema di Krzysztof Kieslowski, che si avvale della partecipazione di dieci attori e cinque musicisti, che intende raccontare vicende attuali ma “non prende volutamente una posizione confessionale o moralistica”, come si legge nella presentazione. Nascosti nell’abside, illuminati da una luce bluastra, Gabriele Francioli, al clarinetto e saxofono, Beatrice Baiocco al fagotto, Anna Chiappalupi al violino, Diana Bonatesta alla viola, Marco Agnetti al contrabbasso, insieme alla voce di Giada Frasconi, accompagnano i dialoghi di Non avrai altro Dio all’infuori di me, andato in scena il 29 e il 30 giugno. Bolle di sapone per un concepimento desiderato, palloncini che si gonfiano mentre la pancia aumenta, l’entusiasmo che si sgonfia quando l’ago penetra il sacco amniotico. E una sfera che resta lì, al centro dello spazio scenico, quando marito e moglie, medico e assistente, sono ormai usciti, a raccontarci di un feto che cresce e di un bambino che non nasce.
Rossella Porcheddu
Questo contenuto fa parte del progetto E20UMBRIA per il Festival 2Mondi di Spoleto