Recensione a We Unfold, 6 Breaths, ARE WE THAT WE ARE – Sydney Dance Company
L’immagine scelta dalla Biennale di Venezia come rappresentativa del 7. Festival Internazionale di Danza Contemporanea, Capturing Emotions, è una fotografia di scena dello spettacolo We Unfold della Sydney Dance Company. Sorvolando su ogni aspetto artistico-pubblicitario provocato da questa decisione, si può cogliere immediatamente il livello di curiosità generato dalla fotografia, una composizione scultorea di quattro corpi umani colpiti verticalmente da un fascio luminoso. Rafael Bonachela, coreografo e direttore artistico della Sydney Dance Company dal 2008, è stato chiamato dalla Biennale per portare testimonianza, con la presentazione di tre pezzi del repertorio della compagnia, di una delle realtà più affermate nel panorama contemporaneo australiano (accanto a Ros Warby e al collettivo Splintergroup).
La prima delle due serate dedicate alla compagnia è stata occupata da We Unfold, uno stravagante lavoro di Rafael Bonachela che fin dall’inizio si è presentato come “rivelazione” (così come indica il titolo) di verità universali. Affascinato profondamente dalla relazione tra video e danza (ma intesa come proiezione e non come interattività) il coreografo ha sviluppato una partitura in cui danza, immagine e musica si accostano alla ricerca di una forte espressività che rievoca una certa megalomania da kolossal hollywoodiano. Il grande fondale del Teatro Malibran di Venezia ha accolto le immagini video create da Daniel Askill: dall’esplosione che diede origine all’Universo si viene proiettati all’interno di una visionaria galassia in cui, a fare da contraltare, sono inseriti due giganteschi manichini umani, l’Uomo e la Donna. Lenti movimenti portano queste due figure virtuali, inizialmente distese, a rivelarsi frontalmente all’osservatore, sullo sfondo di un ammasso stellare. In un crescendo virtuosistico musicale (sulle composizioni di Ezio Bosso), i sedici danzatori faticano ad imporsi sul palco apparendo come minuscole forme di vita alle prese con l’eterno conflitto universale. Nello stesso momento in cui sembra aver luogo una pacificazione dell’uomo, la necessità di Bonachela di continuare a indagare e “rivelare” desideri ed emozioni lascia la danza affondare in un’incomprensibile sviluppo mentre l’abbandono alla visionarietà del video si fa pregnante.
La collaborazione tra Bonachela e il compositore Ezio Bosso trova origine in una profonda amicizia tra i due e, 6 Breaths, il secondo pezzo presentato in Biennale, nasce proprio dal lavoro musicale di Bosso. L’evocatività di We Unfold si placa, la partitura coreografica si accosta armoniosamente alla ricerca musicale che ruota attorno al tema del respiro. Anche l’affezione di Bonachela per le proiezioni di Daniel Askill (di nuovo presenti), si limita a conchiudere lo spettacolo nel suo inizio e fine con immagini video. Oltre alle due coreografie di Bonachela è stato presentato il lavoro dell’australiano Adam Linder, ARE WE THAT WE ARE. L’opera, commissionatagli da Bonachela, è un tripudio di elementi stucchevoli (dai costumi allo psichedelico disegno luci) tramite il quale intraprendere, come spiega il coreografo, «un’esplorazione fisica dentro l’esistenza di stati alterati di coscienza nell’esperienza umana». L’alterazione ricercata da Linder si trasforma in volgarizzazione e la danza, che fa riferimento alla ritualità pagana, coglie di essa solo una patina superficiale che procede per luoghi comuni così tanto sfruttati da non lasciare più uscire una goccia di succo dal grappolo di uva di Bacco.
Visto al Teatro Malibran, Venezia
Elena Conti