teatri delle mura 2009

Videointervista a Tiziana Barbiero – Teatro Tascabile di Bergamo

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Il Teatro Tascabile di Bergamo, nato 35 anni fa ha prodotto più di 100 spettacoli, oltre 4000 repliche per oltre un milione di spettatori, è stato presente nei più importanti festival nazionali e internazionali. La sua caratteristica precipua è quella di essere un ‘teatro di gruppo’. Dal ‘74 datano i primi esperimenti sul teatro ‘di strada’; nel 1977 comincia la sua indagine sulla cultura scenica orientale, e la formazione di diversi gruppi di attori-danzatori italiani di teatro classico o­rientale assai quotati presso gli esperti. Tra le varie attività ha fondato l’Istituto di Cultura Scenica Orientale (IXO); è presente a livello scienti­fico nazionale e internazionale con relazioni, seminari, convegni, ateliers, pubblicazioni, film, e una biblioteca e videoteca specializzata sull’arte dell’attore e sull’antropologia teatrale.
www.teatrotascabile.org

(dal Catalogo del Festival Teatri delle Mura)

Suggestive Interrogazioni

Recensione a Interrogations – Yoshi Oida

foto di Claudia Fabris

foto di Claudia Fabris

“Qual è il  senso della vita?” chiede il Maestro – Yoshi Oida – e il pubblico, timoroso, ma a volte anche spavaldo, tenta di rispondere all’impossibile questione. Il noto attore e regista giapponese, con fermezza, scruta il pubblico, invitandolo concretamente ad alzarsi e – come nelle interrogazioni a scuola –  cercare di venire a capo alle sue sfide. Egli stesso si  sorprende e diverte di fronte alle risposte che la disponibile e incuriosita assemblea azzarda. Le sue domande (solitamente esposte in francese e tradotte in scena da Rosaria Ruffini) sono spesso insidiose, semplici ma spiazzanti e forse non c’è una giusta risposta a quesiti come: “Una vacca attraversa una finestra: passano le corna, le zampe, il corpo, ma la coda no. Perché?” Basandosi su testi che ha personalmente selezionato dalla tradizione dei Koan cinesi (antichi componimenti di maestri Zen), Oida pone come base dello spettacolo il mettere in discussione ogni cosa: il senso della percezione, il funzionamento di udito e vista, la logica; instaurando un aperto dialogo col pubblico, crea una sospesa atmosfera di riflessione ad alta voce destinata a rimanere insoluta.

Nato negli anni settanta, e ora riadattato, Interrogations continua ad essere uno spettacolo vivo, perché composto da domande di valore incorruttibile e ancora prive di risposta. Spettacolo che è portato a rinnovare organicamente il linguaggio del suo interprete, il quale basa le azioni di collaborazione con la musica sull’improvvisazione di movimenti e suoni. Durante le azioni che intervallano i quesiti al pubblico, infatti, l’accompagnamento musicale è affidato a Dieter Trüstedt, fisico tedesco padrone dei segreti che permettono di far vibrare e dar vita alle sonorità incantevoli e suggestive dei numerosi strumenti musicali portati in scena. Come ad esempio la wind harp inventata dallo stesso  Trüstedt, uno strumento capace di vibrare e risuonare tramite il solo soffio d’aria sulle corde.  Il linguaggio sonoro emerge come principale stimolo mentale e fisico per il performer.

Oida, con passione e concentrazione coinvolge in questa insolita narrazione, chiedendo intelligenza e fantasia al suo pubblico ed utilizzando come principali oggetti di scena alcune sottili bastoni, canne che vengono percosse, o diventano cavalli, pertiche, ante di una finestra, in un gioco nel quale anche l’immaginazione del pubblico ha un preciso ruolo.
Nell’osservare tecniche, approcci formali e spazio – vuoto, con il tappeto a delimitare la sacralità della scena  – è facile pensare a Peter Brook, la cui preziosa eredità può essere intravista in questo delicato e originale spettacolo diretto e interpretato da uno dei suoi storici attori.
Applausi calorosi e sinceri nel ringraziare un grande e noto maestro.

Agnese Bellato

Videointervista al gruppo Motus

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MOTUS, fondato nel 1991 da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, si struttura sin dalle origini come nucleo di lavoro aperto alle ibridazioni fra arti e linguaggi. La follia d’amore, i meccanismi artificiosi della seduzione, i limiti del corpo e la sua indagine hanno da sempre invaso le scene del gruppo: O.F. ovvero Orlando Furioso impunemente eseguito da Motus (‘98), Orpheus Glance e Visio gloriosa (2000), il progetto Rooms (‘02). Una lunga residenza in Francia ha condotto alle liriche d’amore di Pier Paolo Pasolini, alla sua irrinunciabile attrazione «per i corpi senz’anima» che popolano le notti delle periferie romane in Come un cane senza padrone (‘03) e L’Ospite (‘04). È stato poi con Rumore rosa (‘06) che il tema dell’amore e dell’abbandono è stato ancor più sviscerato. Il 2006 ha visto anche un ritorno a Samuel Beckett, con la video-performance A place. That again, ispirata a All strange away, l’unico testo ‘pornografico’ dello straordinario autore irlandese. Per la Biennale Danza 2007, Motus ha dato avvio a X(ics) Racconti crudeli della giovinezza, progetto che ruota attorno ai temi della giovinezza e delle periferie urbane. La stessa ricerca sul rapporto fra generazioni ha condotto al nuovo progetto ispirato alla figura di Antigone, che si svilupperà tra il 2009 e 2010.
www.motusonline.com

(dal Catalogo del Festival Teatri delle Mura)

Quad al cubo

Recensione a deFORMA_09, di TAM Teatromusica

foto di Claudia Fabris

foto di Claudia Fabris

Atmosfera fortemente concettuale per lo spettacolo deFORMA_09 della compagnia TAM Teatromusica. La performance ideata da Michele Sambin riporta alla mente un immaginario fantascientifico. Quattro personaggi si muovono sul piano orizzontale, spinti o trascinati, da una fune; li sovrasta in aria, lo scheletro elastico di un parallelepipedo, la cui forma si trasforma continuamente. L’ambientazione è surreale, geometrica e rigida. È una danza meccanica che porta l’eco lontano di un altro mondo. Le quattro figure si muovono su rotte prestabilite, collegate indissolubilmente agli angoli della figura: marionette in balia di una geometria  intelligente, o forse sapienti geometri?
La danza compiuta dai quattro ballerini richiama gli studi di Beckett su Quad – una coreografia studiata su funzioni matematiche che stabiliscono le entrate e uscite degli attori, i loro spostamenti sugli assi di un quadrato, senza mai farli passare per il centro; quest’ultimo è, infatti, il punto focale della performance, lo zero generatore. In questo caso gli attori  tendono ad esso, lo sfiorano, si avvicinano, perché al centro risiede il punto generatore del suono. Quattro microfoni catturano i rumori prodotti dal movimento e dal fiato dei performer, i suoni distorti e modificati (dalla poesia di Kole Leca), vengono riprodotti a creare una partitura vocale intensa e ritmata. Il movimento scandisce e viene scandito dai ritmi che produce. Un lavoro sullo spazio, uno studio sulle tre dimensioni, sul suono, sull’immagine digitale (con le rielaborazioni video e pittura digitale di Michele Sambin).

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foto di Claudia Fabris

In scena il passare del tempo, un lento divenire, un mutamento di forma e, di conseguenza, di concetto. «Forma è il limite che consente di poter definire un qualunque oggetto, idea, concetto, sensazione. Deformare è alterare la forma, darle un significato diverso dal reale» scrive Pierangela Allegro, unica donna in scena.
Visivamente un’opera interessante e stimolante; forse la presenza del testo risuona superflua e straniante. Restare sul piano concettuale avrebbe portato il pubblico ad immaginare oltre le parole.

Camilla Toso

Videointervista a Carichi Sospesi

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Marco Tizianel, classe ’67, si dedica al teatro dal 1989. Si forma con Vasco Mirandola, Giancarlo Previati, Maria Grazia Mandruzzato, Ted Keijser, Giovanni Fusetti, Michela Lucenti e vari altri. Come attore partecipa a numerose produzioni che spaziano dal teatro di strada, al teatro per ragazzi e per la prima infanzia, al teatro di ricerca. North b-East è il suo primo lavoro come autore.
Silvio Barbiero, classe ’72, si forma presso il T.P.R., C.U.T., e con Maria Grazia Mandruzzato, Naira Gonzales, Michele Sambin, Pierangela Allegro, Michela Lucenti, Juri Ferrini, Matteo Destro, Boris Ruge, Maurizio Ciccolella, Federica Granata, Roberto Anglisani, Massimiliano Civica, Serena Sinigaglia Carlos Alsina, Andrea Brunello e altri ancora. North b-East è il suo primo lavoro come autore.
L’associazione culturale Carichi Sospesi nasce a Padova nel 1998 con l’intento di promuovere laboratori di animazione teatrale nel disagio psichico e fisico, di produrre spettacoli teatrali, sperimentare nuovi linguaggi e nuove tecniche. Nel 2003 viene aperto il circolo culturale, un luogo di incontro e di confronto per creare un teatro aperto, in grado di accogliere oltre agli spettacoli e ai corsi anche una forma di socialità, di contaminazione in cui le idee siano circolari e non debbano trovare terreno di confronto solo attraverso momenti di spettacolarità. A oggi la programmazione invernale teatrale e musicale delle ultime cinque stagioni ha ospitato oltre 250 compagnie e gruppi.
www.carichisospesi.com

(dal Catalogo del Festival Teatri delle Mura)

Pensiero attivo

Recensione a Interrogations – Yoshi Oida

foto di Claudia Fabris

foto di Claudia Fabris

In moltissimi, ieri sera, hanno raggiunto il Bastione Alicorno per farsi “interrogare”da Yoshi Oida, indiscusso maestro della scena teatrale internazionale. Sono trent’anni che l’attore-regista giapponese gira il mondo proponendo ai suoi spettatori domande assurde ed illogiche, insieme al musicista-fisico tedesco Dieter Trüstedt, che riesce a creare una ‘colonna sonora’ con gli strumenti e gli oggetti più disparati, e, con la sua presenza discreta, completa il quadro essenziale dell’allestimento.

Interrogations, presentato in prima nazionale in una nuova versione, prende ispirazione dai Koan, quesiti antichissimi che i maestri dei monasteri Zen pongono agli allievi come esercizio di meditazione. Il clima dello spettacolo è molto lontano dal silenzio rispettoso di quei luoghi, anche se molti sono i momenti in cui Oida regala al pubblico, giocando con quattro sottili bacchette di bambù, performance dal sapore orientale, offrendo un sublime esempio di controllo perfetto del corpo e di racconto gestuale. Ma l’aspetto spirituale dei quesiti è accantonato a favore di una rilettura di questi testi in chiave beckettiana. Come ammette, infatti, lo stesso interprete, i Koan hanno suscitato in lui grande interesse proprio per il loro carattere straniante: la stessa forza che ritrova nei testi di Beckett o Ionesco, ma in versione nipponica.
Per esempio, mostrando il dorso della mano, chiede: “questo è il dritto o il rovescio?”.
Non sono importanti le risposte, ma le domande: esse creano il legame, ludico ma forte, tra attore e spettatore. I quesiti sono il filo che unisce i partecipanti all’evento, sono lo strumento che fa scaturire la condivisione di un pensiero. Oida trasporta lo ‘spazio vuoto’ di Peter Brook nella drammaturgia, dove sono le parole stesse a stimolare l’immaginazione e la creatività degli spettatori. In totale libertà perché non c’è una risposta giusta, determinando, così, un clima di spensierata e piacevole partecipazione.

foto di Claudia Fabris
foto di Claudia Fabris

Yoshi Oida, passando dal francese, tradotto in tempo reale da Rosaria Ruffini, a frasi in italiano stentato, recitate con chiara autoironia, costruisce uno spettacolo di difficile descrizione. Forse, come gli allievi dei monasteri Zen che meditano sulle risposte ai Koan, molti impiegheranno anni per capirlo davvero, altri probabilmente non lo capiranno mai. Ma tutti ricorderanno di aver condiviso la rara piacevolezza di un’ora senza regole e logica. Perché, come dice Oida, “ogni giorno conta. Anche oggi”.

Silvia Gatto

Il sorriso di Maria

Recensione a Una vita importante – Maria Sole Mansutti / Paolo Civati

foto di Andrea Cravotta

foto di Andrea Cravotta

Sono coraggiosi Maria Sole Mansutti e Paolo Civati nel proporre uno spettacolo sulla vita di Maria, tema che implica responsabilità e racchiude molti rischi: le facili banalità, l’eccessiva santificazione della Vergine o al contrario la sua dissacrazione. Invece il testo e la regia di Civati propongono, con dolcezza e semplicità, l’infanzia e la crescita della piccola Maria, bimba speciale per il mondo che la circonda e che troppo presto la tratta da adulta. Maria Sole Mansutti – sola in scena – è il cuore e l’anima di Maria. L’attrice, con tangibile spontaneità, ricrea situazioni di intimità concreta che avvicinano il pubblico alla sensibilità e alla percezione del mondo di questa donna: dalle antipatie o simpatie verso le sue compagne al tempio, le prime vergogne ed eccitazioni, l’attesa del promesso sposo, la naturalezza dei dialoghi con l’angelo nel candore dei loro incontri.
Alla soglia della desiderata vita coniugale con l’amato Joseph, ecco l’inattesa visita di un angelo: solo lei può sentirlo – ma il pubblico sa bene cosa le sta rivelando. L’espressione di stupore che gradualmente trasforma il suo viso, seguita da “come è possibile, non conosco uomo”, bastano a completare un quadro noto, ma ora ricreato con freschezza grazie ad una  Maria nuova, vicina agli spettatori. I nove mesi della gravidanza bruciano in scena sotto forma di fazzoletti bianchi che, accendendo i loro cuori d’incenso, inebriano i sensi e trasformano la scena, che ora profuma di sacro. Il parto – in piedi – viene sofferto e vissuto attraverso corpo e voce della Mansutti che, amplificando col microfono la sua febbrile testimonianza in dialetto friulano, la rende ancor più intima. Dato alla luce il bimbo, la giovane madre confessa che non ci saranno sere più belle per lei dopo questa. Con occhi vivi e brucianti, lucente di calore e rigata dal sudore, dona al mondo la sua creatura girando il suo corpicino ancora sporco – solo immaginato – verso il pubblico. Il resto della storia è noto a tutti, e sembra, infatti, superflua l’apparizione finale della croce di luce bianca, che la giovane sfiora con uno sguardo all’improvviso consapevole e spaventato dal doloroso destino che la attende.

foto di Anrea Cravotta
foto di Andrea Cravotta

Lavoro scenicamente  essenziale: una stanza bianca, nella quale la narrazione procede a sequenze semplici, intervallate da una curata dimensione sonora e una sempre signifacativa scelta nell’uso della luce, che diviene immensa ad ogni sorriso di Maria. Lo spettacolo è toccante e riesce a riproporre un tema sacro con tenerezza e umanità: con Una vita importante, il mondo infantile della piccola Maria diviene vicino, tangibile e immaginabile.

Agnese Bellato

Videointervista a Silvio Castiglioni

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Celesterosa è un’associazione culturale sorta nel marzo 2007 per iniziativa di Georgia Galanti e Silvio Castiglioni. Elabora progetti dedicati alle arti sceniche, visive e performative e alla cura e alla pubblicazione di libri lavorati anche artigianalmente. Tra i progetti realizzati si ricordano: Viaggio in Armenia (2006), Casa d’altri (2007), Il Rumore del Tempo, Di fronte al dolore degli altri (2007), I capelli d’oro del diavolo (2008); le mostre di Georgia Galanti Ore quotidiane, L’isola dei pensieri felici, Brodo di Giuggiole; la cura della pubblicazione dei seguenti volumi: Io e il mio papà di Georgia Galanti, Nuages (Milano, 2007); Casa d’altri di Silvio D’Arzo, disegni di Georgia Galanti, con la riduzione teatrale di Andrea Nanni, Nuages (Milano, 2008), Cartoline da Mompracem, da Emilio Salgari, di Georgia Galanti e Giovanni Guerrieri.
www.silviocastiglioni.com/celesterosa.html

(dal Catalogo del Festival Teatri delle Mura)

Videointervista a Maria Sole Mansutti

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Paolo Civati e Maria Sole Mansutti sono rispettivamente di Como e Udine. Si incontrano a Roma nel 1999 all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” dove studiano recitazione. Ultimati i tre anni di percorso comune, Civati inizia a collaborare, come attore, con diverse compagnie e registi, tra cui: Teatro Del Carretto, Giorgio Barberio Corsetti, Manuela Cherubini e Jan Fabre. È l’incontro artistico con il lavoro di Fabre che lo spinge ad iniziare una personale ricerca registica con altri attori. Maria Sole Mansutti prosegue invece la propria formazione con artisti tra cui Antonio Latella ed Emma Dante. Contemporaneamente collabora con alcuni giovani registi e avvia un percorso lavorativo in video. Tra i lavori svolti partecipa alla pellicola La ragazza del lago di Andrea Molaioli. Nel 2008 Civati e Mansutti scelgono di rincontrarsi per sviluppare lo spettacolo Una Vita Importante.

(dal Catalogo del Festival Teatri delle Mura)

Amarti m’affatica

Recensione a Tragedia tutta esteriorequotidiana.com

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foto di Claudia Fabris

Ho sentito qualcuno del pubblico dire che questo era lo spettacolo più assurdo visto negli ultimi dieci anni; dove assurdo sta per astratto, ironico e senza senso.
Due persone si guardano negli occhi per un’ora: potremmo descrivere così questo spettacolo. Questa affermazione potrebbe trasmettere un forte dubbio sulla riuscita teatrale dell’opera; ma è così, e funziona. Un uomo, una donna, vestiti di bianco, racchette da ping pong alla mano. Uno spazio – impossibile dire vuoto – bianco e asettico, un cubo di luce. Silenzio. Il primo impatto visivo è forte. È blu, è bianco, è nero: non si sa. Totale incapacità di definire l’immagine: è straniamento. Qualcosa di simile a quello che si prova davanti a Quadrato bianco su fondo bianco di Malevich, ma che assorbe e attira dentro, come il blu monocromo di Klein. Un dialogo, serrato e impersonale, racconta il triste consumarsi di due vite, legate, forse, ma certamente esauste, l’una dell’altra. Un ossimoro, che allontana e al contempo coinvolge; il pubblico ride al cinismo di alcune battute, e ne viene toccato proprio dall’apatia ricercata con cui si esprime questo lento sgretolarsi. La sensazione è quella d’uno stillicidio, violenza compressa, veleno, tacita esasperazione, un amore nato morto, un amore che affatica, che svuota dentro.
Prosegue questo gioco di ruoli, i due personaggi, racchette alla mano si passano “la palla” in attesa della prossima mossa, pronti al massacro: “colpiscimi ed io ti colpirò”. Tutto nella completa assenza, un bianco non bianco, non un inizio né una fine; forse senza senso. Tragedia tutta esteriore, invece, nasce dalla necessità di trovare un senso, di creare una forma che colpisca ancor prima del significato delle parole. Roberto Scappin e Paola Vannoni si dichiarano completamente senza radici «I nostri spettacoli erano politici e pieni di significato, risultavano pesanti. Abbiamo voluto togliere tutto, è stato un atto di rabbia, anche nei confronti del Teatro. Abbiamo pensato di fare una cosa totalmente inutile, priva di riferimenti. Il testo è nato cosi, da solo, stavamo anche venti minuti seduti in silenzio con davanti una telecamera». Inevitabile non pensare a Beckett, in particolare a Finale di partita, nella versione offerta da Franco Branciaroli: stessa luce, stesso bianco asettico. Certo, due esperienze diverse, forse assolutamente sconnesse. L’immaginario beckettiano è forte, nonostante gli artisti neghino ogni influenza esterna. “Senza radici”, ormai, è un concetto troppo astratto, per il teatro contemporaneo ormai lontano da qualunque tipo di derivazione, ma pur sempre ancorato ad un substrato dell’immaginario passato. Quotidiana.com ha dimostrato di saper stupire, di entusiasmare e trasmettere, proponendo il contrario, giocando perversamente sull’attrazione per il vuoto, che muove ogni essere umano, l’assenza, la crisi, l’apatia.

Camilla Toso