Recensione a MACCHINE. Sinfonietta per corpi e voci di Scimmie Nude
La compagnia milanese delle Scimmie Nude nasce nel 2003 ispirandosi allo studio zoologico che Desmond Morris compie sull'”animale uomo” nel famoso saggio del ’67 La scimmia nuda. Il gruppo indaga il rapporto che l’uomo ha con i propri istinti primari, i quali, nonostante l’arco evolutivo trascorso, rimangono tali e quali a quelli dei nostri “pelosi” antenati.
Non è possibile scegliere il proprio corpo, come spesso accade per il destino. È un corpo che non sempre si muove o non sta al passo come si vorrebbe, che non si può controllare, è un corpo che morirà.
Ripartendo dalla fisicità come unità di base, le “Scimmie”, con la guida registica di Gaddo Bagnoli, continuano il loro percorso sperimentale con MACCHINE. Sinfonietta per corpi e voci. Qui trovano sviluppo le dinamiche dell’animale uomo: nella nostra società, fatta di regole comportamentali, distanze sociali e ruoli apparenti, si svelano gli istinti primordiali di uomo e donna che, concretizzandosi in azioni, ne svelano anche i nascosti desideri. Lo studio va a fondo scoprendo caratteri e sentimenti, partendo dagli impulsi primari e dal loro manifestarsi concreto.
Questo è ciò che emerge dall’incontro di tre personaggi vestiti di bianco: due uomini e una donna, su di un prato verde, si guardano, si studiano, si annusano, si attraggono e respingono. Conoscono.
Con grande ironia, ma al contempo sensibile profondità, le Scimmie Nude coinvolgono lo spettatore nelle dinamiche dell’uomo, le dinamiche di ognuno, le più comuni e vere: come incontri tra estranei e relazioni sentimentali. Il corpo cerca di rimanere – o a volte rientrare – nella coreografia prefissata della quotidianità che gli è imposta, ma spesso sbaglia, perde il ritmo per poi rincorrere il tempo e cercare di recuperare. Concetto reso esaustivamente dalle partiture fisiche corali eseguite dagli attori che esprimono gli automatismi della nostra corsa all’interno dei rigidi binari della società.
L’ampia attenzione rivolta al corpo non compromette però l’ingresso della voce, che trova gradualmente la sua collocazione nel susseguirsi delle scene: inizialmente con i soli respiri, versi e smorfie, per poi nascere con le prime sincere parole, fino allo sciogliersi in monologhi, dialoghi, urla. La parola diretta svela i pensieri, i desideri e le paure propri dell’uomo. Grazie alla varietà dei molteplici quadri proposti, emergono da differenti contesti altrettante riflessioni più o meno esplicite sull’esistenza. Spesso, però, la grande varietà di linguaggi teatrali – distanti tra loro -, che trasformano il terzetto in infiniti personaggi, rischia di rallentare e inceppare il ricco svolgersi dello spettacolo.
Espressivi e flessibili i protagonisti: Andrea Magnelli, Marco Olivieri e in particolare Claudia Franceschetti che dà prova di un’ampia e duttile padronanza nell’uso della voce.
Visto al Teatro della Contraddizione, Milano.
Agnese Bellato