Nella splendida Villa di Scornio di Pistoia, dopo una lunga residenza con tanto di progetto speciale voluto dall’Associazione Teatrale Pistoiese, ha debuttato Il giro del mondo in 80 giorni, nuovo spettacolo di Sotterraneo. La compagnia, che negli anni tanto abbiamo seguito (qui sono raccolti vari articoli), ha cambiato da poco nome, asciugandolo ed eliminando quel “Teatro” che ultimamente gli andava un po’ stretto, perché troppo specifico, troppo limitante.
Una novità che si aggiunge a un cambiamento ancor maggiore, se si pensa che per la prima volta il gruppo affronta un testo preesistente e altrui, l’omonimo romanzo di Jules Verne, prendendolo sì come pretesto e facendolo diventare altro, ma richiamando sin dal titolo un immaginario ben specifico, andando ad attingere a una lettura che ha segnato intere generazioni. Le avventure di Phileas Fogg diventano un grande “gioco da tavolo” che occupa tutto lo spazio-tempo scenico, svolgendosi tappa dopo tappa, fra imprevisti e prove, premi e penalità.
Sembrerà un qualcosa ben lontano da noi: basti pensare che l’innesco del romanzo scritto ormai quasi 150 anni fa, è la scommessa di riuscire a fare il giro del mondo in appena (!) 2 mesi e mezzo, mentre adesso per raggiungere lo stesso scopo ce la si fa comodamente in qualche giorno. Ma molti temi si rivelano ben presenti nella versione scenica di Sotterraneo: il viaggio intorno al globo si svolge (anche) fra la logica colonialista, i pregiudizi razziali e la paura della diversità, la violenza di genere e il femminicidio; questi vengono portati a emergere, nominati, attraversati, diventano dei piccoli spilli, che appena “bucano” la fruizione vengono ritirati perché la corsa di Fogg per vincere la scommessa continua e non c’è tempo da perdere.
Un po’ come succede oggi, nel mondo della comunicazione 2.0: istantanea, rapida, immersiva, permanente, convergente; dove è più facile percorrere collegamenti orizzontali fra i contenuti, lasciarli scorrere al limite surfando da una pagina all’altra, saltando da un lolcat a una ricetta di cucina a un articolo di politica, senza (apparenti) nessi di causa-effetto. Storie sempre più aperte e storie di continuo interrotte in cui siamo completamente immersi.
Il filo qui annoda il passato e il presente, l’Ottocento delle grandi avventure e il presente di post-mediale di internet; e quindi il livello della visione registica (estremamente coerente rispetto al ritmo del romanzo) e quello della ricerca della compagnia, che da diversi anni sta lavorando fra l’altro sulle modalità di comunicazione e relazione del nostro tempo.
Ci sono insomma almeno 2 piani: la gran corsa di Phileas Fogg e compagni, da un lato, e le scintille di senso che da lì possono scaturire. Lo story-game (così lo definisce la compagnia) del Giro del mondo in 80 giorni si muove fra i due versanti, all’interno di cui Sotterraneo lavora per innesti successivi, inserendo nella storia interferenze fisiche e concettuali che danno vita a slittamenti di significato potenzialmente aperti a dischiudere altri orizzonti.
Quello che segue è una specie di “diario di bordo” del Giro del mondo di Sotterraneo, che abbiamo seguito a Pistoia in circa 80 minuti. Un diario pieno di interferenze e accenni a tematiche che si impastano col romanzo, col gioco, con l’oggi.
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DIARIO DI BORDO
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innesco: EUROPA Tutto comincia – si sa – quando Phileas Fogg, ricco londinese, scommette con i membri del suo club di riuscire a fare il giro del mondo in 80 giorni. |
interferenza #1: STORY-GAME Qui, l’innesco parte da un grande tabellone a metà fra il gioco in scatola e il mappamondo: i continenti da attraversare sono evocati da una lavagna rettangolare a cui si appongono, durante lo spettacolo, carte di imprevisti, punizioni, casualità, ma anche filo rosso e spilli per segnalare le tappe; un dj, Mattia Tuliozi, riproduce la colonna sonora della pièce, dove si mescolano suoni di navi o treni a musiche o a quelli estrapolati da videogiochi anni ’80 come il sempreverde Super Mario Bros. |
2a tappa: AFRICA (Suez) Il continente africano è il primo a essere nominato e verso cui si sposta Fogg, accompagnato dal suo fidato cameriere Passepartout: il viaggio inizia verso l’Egitto e il canale di Suez, ma non vi è una immersione o un attraversamento reale del luogo, né tantomeno dell’Africa in generale. È una semplice tappa obbligata per muovere le pedine e dare avvio alla storia, l’Africa è una sorta di introduzione per far comprendere allo spettatore come si evolverà il gioco/racconto. |
interferenza #2: REALE/FINZIONALE Uno dei livelli di lavoro di Sotterraneo è sempre stato il rapporto tra teatro e vita vera, tra finzione e realtà. Nel Giro del mondo questo assume una evidenza ancora più nitida ed estrema dal punto di vista compositivo e recitativo, perché lo spettacolo – forse proprio perché è la prima volta che il gruppo affronta un testo-romanzo – accosta la dimensione epica del racconto orale a quella dell’azione performativa, straniamento e immedesimazione (con attori che escono e entrano continuamente dai personaggi che interpretano), disgiungendo i due poli in maniera quasi siderale, spesso ponendoli in contrappunto, e portando così lo scarto a emergere ancora più chiaramente che altrove. |
3a tappa: ASIA/1 (India) Una volta in Asia, e più precisamente in India, la corsa contro il tempo intorno al mondo di Phileas Fogg è costretta a rallentare: perché la fantomatica ferrovia che doveva fare la differenza non è ancora completata e tocca proseguire a dorso d’elefante; perché Passepartout profana involontariamente la sacralità di una pagoda entrandovi con calze e scarpe (la penalità dello story-game prende le forme della meditazione obbligata saltando un turno); e per ragioni cavalleresco-umanitarie, che vedono il protagonista salvare Auda, una giovane vedova costretta per motivi religiosi a buttarsi nella pira del marito (e qui lo spettacolo si apre sui temi del femminicidio). |
interferenza #3: INTERAZIONE Il ruolo dello spettatore ha sempre avuto una particolare centralità nei lavori di Sotterraneo e l’intero percorso del gruppo si potrebbe (anche) leggere come una lunga ricerca alla volta di una possibile drammaturgia dello spettatore, che lo vede coinvolto in prima persona, a volte in modo determinante per lo svolgimento di una scena. Nel Giro del mondo questo livello è massicciamente presente – sono diversi i momenti in cui è richiesta la partecipazione diretta, fra quiz, sondaggi, domande a tema –, ma a differenza di altri lavori (vedi l’esito per esempio di Be normal!) la funzione drammaturgica che le è riservata non ha un peso così determinante, e resta spesso una parentesi – seppure divertente e intelligente – che può incidere solo relativamente sull’andamento dello spettacolo. |
4a tappa: ASIA/2 (Cina) Da una semplice ragazza appena salvata, Auda si trasforma in una compagna di viaggio e in un ennesimo personaggio da interpretare per i due performer-attori (Sara Bonaventura e Claudio Cirri). Così da Calcutta i protagonisti partono alla volta di Hong Kong alla ricerca di un parente della vedova indiana, impresa che si rivelerà ancora una volta carica di imprevedibili peripezie (fra l’apprendimento della lingua cinese e i fumi dell’oppio). |
interferenza #4: POP Se l’Africa è solo un attraversamento veloce, in Asia il romanzo si sofferma di più e per Sotterraneo diventa il pretesto per far emergere alcuni dispositivi cari al gruppo, utilizzati con sfumature differenti anche in altri lavori precedenti: per imparare una lingua lontana e ostica come il cinese, sembra basti ripetere le poche parole dette da Google Translate, mentre per conoscere altre culture pare sia sufficiente raccogliere souvenir e scattare veloci foto-ricordo. Ma è l’entrata in scena di un enorme peluche a forma di panda, figura evocata dall’overdose da oppio di Passepartout, che ci riporta indietro nel tempo, ci fa sorridere, mentre la presenza stride con in sottofondo la canzone di Marilyn Manson I don’t like the drugs but the drogs like me: vicenda romanzesca, mondo manga, droghe e musica rock anni ’90 si mescolano su più livelli e ne viene fuori un rimpasto allucinato/allucinogeno come solo Sotterraneo sa fare. Ed ecco che entra in scena sempre e più volte l’immaginario pop: dai videogiochi anni ’80 – il funghetto di Mario Bros che dà la vita – alla canzone di Marilyn I wanna be loved by you, a – una volta che ci si avvicina all’America – l’immancabile Mickey Mouse, Barbie e Ken, il telefilm cult X Files e l’Area 51. Il giro del mondo in 80 giorni diventa in 80 minuti un’occasione per mescolare i diversi piani che si sono stratificati nella nostra cultura, quello che vi si è sedimentato negli anni formando un immaginario collettivo e che ha fatto sì che fossimo cittadini del mondo senza muoverci da casa, ma semplicemente guardando la tv o giocando ai videogames. E così basta citare gli extraterrestri o vedere la testa di Topolino per catapultarci negli States, senza effettivamente conoscere la vera cultura americana. Dopo tutto anche Fogg attraversava i territori semplicemente apponendo bandierine, senza incontrare veramente l’Altro e la sua cultura. |
5a tappa: AMERICA/1 (S. Francisco>New York) Sbarcati in America, Fogg e Passepartout prendono il treno da San Francisco a New York, che viene attaccato da un’orda di indiani (ritornano in scena il problema razziale e – nella forma di Mickey Mouse – l’invadenza dell’immaginario globale occidentale). |
interferenza #5: POST-GLOBALE, POST-MEDIALE Il capitalismo procede per accumulo fin dalle sue origini agli albori della modernità e l’epoca che testimonia la scrittura di Verne segna forse il punto di innesco di una estrema accelerazione di questo processo: almeno dall’Ottocento possediamo sempre più merci, vediamo sempre più immagini, mangiamo cibi diversi, usiamo tecnologie nuove, possiamo andare dappertutto in sempre minor tempo (figurarsi oggi che c’è internet e i voli lowcost). È bello, è brutto, è quello che siamo. Lo spettacolo di Sotterraneo parla anche di questa forma di bulimia politica, sociale e culturale. Chi ci capisce più qualcosa? Come districarsi in mezzo a tutti questi stimoli? È possibile andarci a fondo? O è più comodo seguire rotte sempre nuove (eppure sempre pre-determinate), lasciandosi trasportare qua e là da (oggi si chiama websurfing, prima era lo zapping)? Si incrementa la conoscenza o si ampliano solo i luoghi in cui si può collocare? E questi sono davvero raggiungibili? Come possiamo comunicare gli uni con gli altri dal cuore di questi linguaggi così incommensurabilmente diversi, tramite esperienze sempre più personalizzate e personalizzabili, da un capo all’altro del tempo e lo spazio che sembrano lo stesso luogo e invece non lo sono? E in quale relazione stanno la cosa e il simulacro, l’idea astratta e l’esperienza diretta, la vertigine smagliante, rassicurante della superficie e la specifica profondità della visione personale? Con un souvenir omologato per riassumere il senso di un viaggio, una foto ricordo (della platea) che sarà sempre uguale pur nella sua diversità, un emblema pop per evocare il mood intero di un Paese, lo spettacolo prova – e molto, e instancabilmente, e a volte riuscendo e altre fallendo – a fare i conti anche con questo. |
6a tappa: AMERICA/2 (dopo N.Y.) Con la traversata degli Stati Uniti, i protagonisti del romanzo arrivano a New York, ma per farlo attraversano ulteriori avventure mescolando il passato col presente, perché dopo l’attacco degli indiani vi è quello di Greenpeace. La storia di Jules Verne si intreccia con quella politica e sociale del nostro oggi, innescando una serie infinita di cortocircuiti che vanno aumentando nella parte finale dello spettacolo. |
interferenza #6: POLITICA Il romanzo di Verne dà la possibilità di rivedere con la giusta distanza quanto in questo testo ci sia quello che oggi definiamo razzismo, violenza di genere e colonialismo. È la stessa drammaturgia dello spettacolo a sottolinearne la presenza quando nel testo compare la parola “negro” o quando racconta come una vedova, Auda appunto, si debba gettare nel fuoco insieme alla pira funeraria del marito per trovare la morte, o come siano stati combattuti gli indiani d’America e scacciati dal proprio territorio natio. Sono tutte messe a fuoco, come fossero pause viste sotto una lente di ingrandimento o una zoomata, che fanno rileggere il grande classico sotto un altro punto di vista: svelando come per noi occidentali questi esempi appena fatti siano stati sempre visti come la “normalità” in quanto abitanti della “giusta” parte del globo. Ma sono solo dei sassi lanciati, dei momenti pieni di amara ironia – come quando appare Daniele Villa travestito da membro del Ku Klux Klan per segnalare gli atteggiamenti razzisti e punire i giocatori – che affondano senza troppo turbare la superficie – anche letta come benessere quotidiano in cui tutti corriamo perdendoci la vera vita stessa –, perché la corsa di Fogg (e dell’Occidente) deve continuare nonostante tutto. I temi politici sono sì presenti ma non vengono veramente approfonditi: forse non è altro che lo specchio della nostra società in cui ci basta commentare con uno smile triste sui social network un video che mostra un atto di violenza per farci sentire di aver così mostrato da che parte stiamo, chi sosteniamo/appoggiamo, mentre in realtà dimostriamo solo come in fondo siamo subito pronti a girare la testa dall’altra parte e concentrarci su noi stessi, sulle nostre scommesse, sulle nostre vite. |
…Visto che tutti conoscono un classico della letteratura come Il giro del mondo in 80 giorni vi lasciamo a wikipedia per sapere come va a finire la storia e alla visione dello spettacolo di Sotterraneo per capire come viene risolta dalla compagnia!
Roberta Ferraresi e Carlotta Tringali |