Recensione a Tutto su mia madre – regia di Leo Muscato
Era il 1999 quando Pedro Almodòvar portava al 52° Festival di Cannes il film per il quale gli avrebberoconferito il premio per la miglior regia, Tutto su mia madre. Una coinvolgente ed emozionante storia dove le donne erano protagoniste indiscusse e in cui si affrontavano diverse tematiche, dalla transessualità alla droga, dalla prostituzione alle malattie veneree, dall’amore familiare alla morte. Questioniche fanno ancora parte della nostra attualità e che a distanza di una decina di anni suscitano discussioni per il loro delicato equilibrio, sempre instabile e vacillante. Leo Muscato ritorna a quel 1999 e – seguendo il testo teatrale di Samuel Adamson basato sulla pellicola di Almodòvar e tradotto da Giovanni Lombardo Radice – porta in scena un Tutto su mia madre difficile da non paragonare al film, come invece il giovane regista chiede nelle sue note scritte per il pubblico. Infatti la struttura drammatica della pièce segue ampiamentel’andamento di quella cinematografica; tuttavia se il montaggio nel film è serrato per via dell’intricato intreccio tra i vari personaggi o luoghi che si sovrappongono, in teatro le scene si susseguono inframezzate da continui cambi a nero – abbastanza veloci sì, ma troppo numerosi – che rallentano lo spettacolo e bloccano il godibile scorrimento procurato dalla trama. Una messinscena che trova invece nei suoi svariati momenti meta-teatrali una buona riuscita: Muscato riesce bene ad allestire “lo spettacolo dentro lo spettacolo”, in particolare Un tram chiamato desiderio – qui recitato dalla passionale Alvia Reale – che entra prepotentemente nel dramma in maniera intelligente e delicata, con veli che scendono dall’alto e una gradinata, che potrebbe benissimo rispecchiare il pubblico in sala, che viene usatadagli attori facendoli diventare per alcuni momenti spettatori.
È una storia travagliata in cui spiccano per l’interpretazione Elisabetta Pozzi, nel ruolo della protagonista Manuela, scappata diciotto anni prima da un marito diventato ad un tratto un transessuale chiamato Lola che di lì a poco sarebbe diventato padre senza saperlo; l’irriverente Eva Robin’s nei panni di Agrado, pepata trans amica della coppia, e la già citata Alvia Reale, che nel dramma è la diva del teatro spagnolo Huma Rojo alle prese con un amore omosessuale per una ragazza tossicodipendente.
Le donne di Tutto su mia madre si raccontano, soffrono, amano, si aiutano e cercano di continuare a vivere nonostante dolori indicibili le abbiano segnate. Un esempio di questo tormento è rappresentato all’inizio del dramma dalla morte di Esteban, figlio diciassettenne di Manuela; personaggio che forse troppo spesso riappare durante la pièce, una volta morto: egli rivive infatti già abbastanza nella memoria della madre, una bravissima Pozzi che trasmette la presenza/assenza del figlio solo con le sue emozioni e la sua forte espressività. Sarà proprio questa perdita a spingere la protagonista a ritornare a un passato che aveva abbandonato, alla ricerca di quel marito ormai irriconoscibile e alla fine della sua vita a causa dell’HIV. Uno spettacolo in cui diverse tragedie si susseguono, ma che sono ben alleggerite dalla presenza di Agrado che, a tratti, appare sul palco in veste di cabarettista, dialogando con il pubblico e facendo ironia sul suo corpo lavorato dal bisturi.
Uno spettacolo piacevole, un bel successo di pubblico, di cui una volta tornati a casa rimane, anche grazie la bravura di alcune attrici di cui si è già fatto plauso, la voglia di rivedere il film di Almodòvar o forse chissà, vederlo per la prima volta.
Visto al Teatro Goldoni, Venezia
Carlotta Tringali