Recensione a Interrogations – Yoshi Oida
“Qual è il senso della vita?” chiede il Maestro – Yoshi Oida – e il pubblico, timoroso, ma a volte anche spavaldo, tenta di rispondere all’impossibile questione. Il noto attore e regista giapponese, con fermezza, scruta il pubblico, invitandolo concretamente ad alzarsi e – come nelle interrogazioni a scuola – cercare di venire a capo alle sue sfide. Egli stesso si sorprende e diverte di fronte alle risposte che la disponibile e incuriosita assemblea azzarda. Le sue domande (solitamente esposte in francese e tradotte in scena da Rosaria Ruffini) sono spesso insidiose, semplici ma spiazzanti e forse non c’è una giusta risposta a quesiti come: “Una vacca attraversa una finestra: passano le corna, le zampe, il corpo, ma la coda no. Perché?” Basandosi su testi che ha personalmente selezionato dalla tradizione dei Koan cinesi (antichi componimenti di maestri Zen), Oida pone come base dello spettacolo il mettere in discussione ogni cosa: il senso della percezione, il funzionamento di udito e vista, la logica; instaurando un aperto dialogo col pubblico, crea una sospesa atmosfera di riflessione ad alta voce destinata a rimanere insoluta.
Nato negli anni settanta, e ora riadattato, Interrogations continua ad essere uno spettacolo vivo, perché composto da domande di valore incorruttibile e ancora prive di risposta. Spettacolo che è portato a rinnovare organicamente il linguaggio del suo interprete, il quale basa le azioni di collaborazione con la musica sull’improvvisazione di movimenti e suoni. Durante le azioni che intervallano i quesiti al pubblico, infatti, l’accompagnamento musicale è affidato a Dieter Trüstedt, fisico tedesco padrone dei segreti che permettono di far vibrare e dar vita alle sonorità incantevoli e suggestive dei numerosi strumenti musicali portati in scena. Come ad esempio la wind harp inventata dallo stesso Trüstedt, uno strumento capace di vibrare e risuonare tramite il solo soffio d’aria sulle corde. Il linguaggio sonoro emerge come principale stimolo mentale e fisico per il performer.
Oida, con passione e concentrazione coinvolge in questa insolita narrazione, chiedendo intelligenza e fantasia al suo pubblico ed utilizzando come principali oggetti di scena alcune sottili bastoni, canne che vengono percosse, o diventano cavalli, pertiche, ante di una finestra, in un gioco nel quale anche l’immaginazione del pubblico ha un preciso ruolo.
Nell’osservare tecniche, approcci formali e spazio – vuoto, con il tappeto a delimitare la sacralità della scena – è facile pensare a Peter Brook, la cui preziosa eredità può essere intravista in questo delicato e originale spettacolo diretto e interpretato da uno dei suoi storici attori.
Applausi calorosi e sinceri nel ringraziare un grande e noto maestro.
Agnese Bellato